CGIL
Confederazione Generale Italiana del Lavoro
XIII Congresso Nazionale
IL NUOVO PROGRAMMA FONDAMENTALE DELLA CGIL
Capitolo VI
Politiche e risorse per lo sviluppo
1. Lo sviluppo sostenibile
La consapevolezza rispetto al consumo irreversibile delle risorse
ha fatto con la Conferenza dell'Onu su "Ambiente e sviluppo" un
salto di qualità.
Il modello di produzione oggi in atto mostra i suoi due limiti:
un utilizzo insufficiente delle risorse di manodopera che causa
disoccupazione e l'eccessivo consumo dell'ambiente. Essi non sono
risolvibili ne con la ricerca di nuovi mercati, nè solo con
politiche di disinquinamento.
I prezzi di mercato non tengono conto della disponibilità
limitata delle risorse naturali e della distruzione
dell'ambiente. Tali risorse quindi sono state sistematicamente
sovrautilizzate. L'insostenibilità di questo modello di
produzione e di consumo è dimostrata dal costo crescente degli
interventi di disinquinamento e riparazione del danno,
dall'esaurimento e degrado delle risorse naturali, che
costituisce un onere che scarichiamo sulle future generazioni,
dall'impossibilità di estendere gli attuali modelli produttivi e
di consumo ai paesi di tutto il mondo perchè ciò richiederebbe
risorse dieci volte superiori a quelle disponibili, dalla
minaccia all'equilibrio naturale dell'intero pianeta che deriva
da dimensione e qualità delle forme di inquinamento.
Per questo da una politica diretta a controllare l'inquinamento
ed a riparare i danni a valle del processo produttivo si deve
passare a una politica volta ad attuare una produzione
ecostenibile e a realizzare una riconversione ecologica
dell'economia.
E necessario introdurre meccanismi di controllo della crescita e
criteri di valutazione su cosa si produce e come si produce,
considerando l'ambiente un valore ed un'opportunità, non un
vincolo allo sviluppo economico; uno dei fattori su cui fondare
un patto intergenerazionale.
Questo significa far interagire questioni economiche e questioni
ambientali in una visione intersettoriale e internazionale,
attivando una serie di strumenti differenziati. Primo fra tutti
il ruolo della ricerca e dell'innovazione tecnologica volto alla
produzione di nuove tecnologie integrate che riducano il
fabbisogno di risorse, migliorino la produttività naturale dei
prodotti, come il maggior rendimento energetico, e ne aumentino
la durata, sviluppino la possibilità di reimpiego e riciclaggio,
riducano la produzione di rifiuti connessa al processo
produttivo.
Vanno messe in atto politiche settoriali mirate nei comparti
dell'energia, dei trasporti, dell'agricoltura e dell'industria. I
programmi di riconversione industriale vanno verificati in
rapporto alle esigenze di compatibilità ambientale.
Per riconvertire l'economia verso criteri di sviluppo sostenibile
occorre inoltre agire con strumenti fiscali ed economici. Alla
fiscalità ambientale basata sul principio "chi inquina paga", va
affiancata una politica di incentivi fiscali alle produzioni
"pulite". E necessario un sistema di contabilità nazionale capace
di registrare nella determinazione del Pil anche la dimensione
dell'uso di risorse naturali.
Altrettanto rilevanti sono le politiche volte alla difesa e alla
fruibilità del patrimonio artistico e naturalistico e quelle
mirate alla qualità dei sistemi urbani relativamente al ciclo
delle acque, al ciclo dei rifiuti, a trasporti, reti fognarie,
qualità dell'aria, riqualificazione del patrimonio abitativo,
recupero dei centri storici. Questi sono altresè terreni che
offrono possibilità occupazionali legate ai bisogni delle
collettività locali e sui quali innestare veri e propri progetti
per l'occupazione, in coerenza con le indicazioni del Libro
bianco di Delors.
Per la Cgil queste sono ragioni da affermare nella contrattazione
a vari livelli e in quella territoriale, per prevenire e
governare il conflitto fra lavoro e ambiente, fra lavoratori-
produttori e lavoratori-cittadini. Terreno concreto per il
sindacato è altresè quello della riconversione produttiva, che va
assunto non solo come possibilità di rispondere a situazioni di
crisi, ma come occasione di ricerca di nuovi modelli produttivi.
Tutto questo va connesso a una politica europea che assicuri
normative uniformi in materia ambientale, per evitare pericoli di
dumping; per questo nel trattato di Maastricht vanno inserite
clausole sociali e ambientali in grado di orientare la
competizione delle imprese verso produzioni non inquinanti.
2. La politica dei redditi
Il Protocollo d'intesa tra governo, organizzazioni sindacali
confederali, organizzazioni imprenditoriali del luglio '93, è
stato discusso e spesso applicato nelle parti che riguardavano la
contrattazione sindacale nazionale e di secondo livello, del tutto
trascurato, sia nel dibattito politico, sia nella concretezza
delle realizzazioni per quanto riguardava le politiche
economiche, di sostegno al sistema produttivo, di
riqualificazione e indirizzo della spessa pubblica.
La Cgil ritiene che bisogna ripartire dai contenuti, dagli
obiettivi, dagli impegni di quell'intesa al fine di rilanciare
una politica di sviluppo capace di aggredire i nodi strutturali
che pesano sugli squilibri territoriali e settoriali
dell'economia italiana, e che rischiano permanentemente di minare
la crescita futura, mettendo in discussione sia le speranze di
crescita dell'occupazione, sia il mantenimento e il miglioramento
del tenore e delle condizioni di vita di gran parte della
popolazione.
Per la Cgil due riferimenti di fondo devono ispirare le politiche
economiche del paese: a) da un lato il risanamento del debito
dello Stato; b) dall'altro il rapporto con l'Unione Europea, con
le sue politiche, con le sue scadenze (nel limite del possibile).
Il risanamento dei conti pubblici e il contenimento
dell'inflazione non può proseguire a spese della crescita e della
spesa pubblica per investimenti o, peggio, aprendo pericoli di
recessione vera e propria che aggraverebbe ulteriormente gli
elementi di arretratezza, di squilibrio, di debolezza presenti
nell'economia del paese.
Non c'è dubbio che, in un'economia mondiale sempre più integrata
e interdipendente, determinanti saranno le spinte alla crescita o
alla stasi delle economie dei paesi più forti.
La globalizzazione delle economie e dei mercati, la forza dei
capitali finanziari che circolano nel mondo, la realtà e le
tendenze di questa fase del capitalismo internazionale, le stesse
regole definite dall'Ue non consentono più di far conto sui
tradizionali strumenti dell'intervento pubblico, in economia.
Non per questo è cessato ogni ruolo e ogni spazio per politiche
pubbliche di indirizzo e sostegno allo sviluppo e alla crescita
dell'economia; non per questo si può pensare al puro e libero
gioco dei mercati, come unica risorsa a cui affidarsi
obbligatoriamente. Sono due le possibili e necessarie politiche
pubbliche incisive e più sofisticate che incidano in modo
efficace sulle premesse e sulla qualità della formazione e
dell'azione degli attori decisivi dell'economia; creando e
conformando l'ambiente nel quale lo sviluppo è possibile;
sviluppando la formazione necessaria delle risorse umane; creando
strutture di ricerca scientifica e tecnologica, e quelle capaci
di trasferirne i risultati, adeguate ad essere attori attivi di
fronte al rapidissimo mutamento dei mercati e all'evoluzione
rapidissima delle tecnologie e delle loro applicazioni; favorendo
la costituzione di strumenti finanziari e bancari moderni, in
grado di sostenere, anche con capitale di rischio, uno sviluppo
solido del tessuto delle imprese e di superare la struttura
familistica del capitalismo italiano; valorizzando le risorse del
territorio (quelle naturali e quelle umane); favorendo una
capacità di maggior internazionalizzazione delle imprese italiane
(sia quelle industriali, sia quelle di servizio), non solo
favorendone le capacità di esportazione, ma sostenendone la
capacità di integrazione di tutti gli aspetti della vita
dell'impresa (dalla ricerca, alla rete commerciale, alla
proprietà ecc.).
Anche a questi fini è importante l'impostazione del Protocollo
d'intesa del 23 luglio '93, nel quale sono contenute linee,
impegni, obiettivi, che danno concrete possibilità di affrontare
in modo nuovo una politica economica pubblica efficace per lo
sviluppo.
La Cgil ritiene che alcuni nodi specifici vanno affrontati con
decisione per dare il segno di una discontinuità positiva nelle
politiche economiche:
- va sperimentata fino in fondo la
potenzialità di un coordinamento efficace, non solo di carattere
contabile, della qualità, della quantità, della localizzazione
della domanda pubblica in tema di beni e servizi, come un
formidabile strumento di orientamento e di indirizzo delle
attività produttive e dell'economia del paese, anche se l'offerta
deve essere, oggi, aperta alla concorrenza di altre imprese
europee. Tutti questi terreni vanno a loro volta raccordati agli
indirizzi comunitari già delineati nel "Piano Delors", e con la
prospettiva di costruzione delle grandi autostrade europee del
trasporto di persone e merci, di energia, di suoni immagini e
dati;
- vanno implementate le politiche di riequilibrio
territoriali, usando pienamente, e in modo coordinato l'insieme
dei tasti e degli strumenti oggi a disposizione e applicando le
scelte già definite nell'intesa del luglio '93. La Cgil ribadisce
che il ministero del Bilancio deve essere la sede centrale di
indirizzo, coordinamento, programmazione e vigilanza per
massimizzare l'efficacia delle risorse pubbliche ordinarie a
vario titolo disponibili. In quest'ambito è possibile e
necessario un grande impegno sia in direzione dell'uso dei
contratti di programma, sia nella sperimentazione dei patti
territoriali, sia nella programmazione degli investimenti
infrastrutturali che abbiano come obiettivo prioritario una
politica di riequilibrio territoriale delle condizioni di base
dell'economia, soprattutto a favore delle Regioni del
Mezzogiorno;
- vanno ritenuti ormai come spese di investimento
essenziale per lo sviluppo di un tessuto produttivo qualificato
di beni e servizi le spese per un moderno ed efficace sistema di
istruzione e di formazione, compreso l'avvio concreto di un
sistema di formazione permanente per i lavoratori. Analoga
considerazione va fatta per le spese di costruzione di una rete
di centri di ricerca scientifica e tecnologica qualificati, e
delle strutture in grado di assicurare il trasferimento di
tecnologie, l'inseminazione dell'informazione e della formazione
sull'innovazione tecnologica ecc.;
- la privatizzazione del
patrimonio industriale e bancario controllato dallo Stato o dagli
enti locali è una scelta in generale ineludibile nei prossimi
anni. Tanto più dopo la nuova legge bancaria, la scadenza delle
privatizzazioni può essere una occasione importante per incidere
sulla struttura industriale del paese, sui suoi livelli di
internazionalizzazione, sulla formazione di una struttura di
capitalismo industriale meno familistico e più moderno, sulla
formazione di una platea più vasta e articolata di protagonisti
industriali e finanziari di primo piano, rispetto a quella
prodotta dai primi cinquant'anni di vita economica del paese dopo
la caduta del fascismo. Può essere anche l'occasione di
superamento delle degenerazioni clientelari e di corruzione che
spesso si sono inserite nelle pieghe di questo importante
patrimonio di attività, sia per i rapporti non sempre trasparenti
tra potere politico e direzione delle imprese, sia per le
caratteristiche di monopolio che molte di esse hanno mantenuto,
anche dopo la trasformazione in spa.
3. Politica industriale per l'occupazione
La Cgil ritiene che l'individuazione delle priorità nella
politica industriale deve seguire la strada dell'Europa
comunitaria, favorendo la costruzione di un'Unione politica
confederata della grande Europa.
Tali priorità per la Cgil riguardano intanto i temi della
formazione, ricerca, innovazione tecnologica, rete
infrastrutturale efficiente e diffusa. Le principali sono:
- coordinamento dei programmi di formazione superiore, con standard
comunitari;
- riorganizzazione di risorse pubbliche e incentivi
per ricerca e innovazione, privilegiando progetti pubblici e
privati coordinati in ambito comunitario, o frutto di intese
pattuite tra imprese o associazioni impegnate nel mercato
comunitario;
- costruzione delle autostrade europee dei
trasporti, delle telecomunicazioni, della energia, secondo i
programmi comunitari delineati nel Piano Delors;
- istituzione di
autorità dotate di poteri autonomi e vincolanti, nel
coordinamento e standardizzazione della domanda pubblica
nazionale e territoriale, in settori quali l'informatizzazione
delle strutture pubbliche, i trasporti collettivi, i farmaci e il
materiale sanitario.
La Cgil, inoltre, ritiene necessario:
- la riforma della legge
quadro sulla formazione professionale e la definizione di un
progetto pluriennale di formazione permanente;
- la ridefinizione
degli standard tecnici e organizzativi per la realizzazione di
grandi progetti integrati nei settori del risanamento ambientale
e delle infrastrutture; conferenze e contratti di programma
devono introdurre vincoli tecnici, ambientali, di sicurezza del
lavoro, di tempi di realizzazione, per consentire una
programmazione trasparente dei costi e delle ricadute
occupazionali degli investimenti;
- la salvaguardia del
patrimonio di autonomia produttiva, di ricerca, tecnologica,
decisionale nella privatizzazione delle imprese controllate dallo
Stato.
La Cgil ritiene, insomma, che una politica industriale per
l'occupazione non può affidarsi alla pura logica del mercato e
della competitività, ma richiede interventi e indirizzi pubblici
che assumano l'obiettivo occupazionale nelle scelte, insieme a
quello della riqualificazione dell'apparato produttivo e tecnico.
4. La rinascita del Mezzogiorno: una grande risorsa per lo sviluppo e per la democrazia
Anche per il Mezzogiorno la prospettiva federalista è una
condizione essenziale per la formazione e la selezione di nuovi
gruppi dirigenti, di nuove istituzioni e amministrazioni che
diventino punto di riferimento, per uno sviluppo fondato sulla
valorizzazione delle forze vive locali, che dia uno sbocco
credibile alla volontà di riscatto e di autogoverno, che
prosciughi in modo efficace le acque dove si sono diffuse e
radicate da lungo tempo le organizzazioni criminali controllando
parte della politica dell'economia, del territorio.
Importanti segnali di novità si sono avuti già a partire dalle
elezioni dirette dei sindaci.
La Cgil ritiene, insieme, che l'unità e la coesione del paese
sono ancor oggi fortemente insidiate dai grandi divari esistenti,
tra Nord e Sud, nel livello di sviluppo, in quello
dell'occupazione, nella qualità delle infrastrutture, dei
servizi, spesso delle stesse strutture produttive.
Sono note le critiche svolte negli anni scorsi da parte del
sindacato confederale e della Cgil alle politiche di intervento
straordinario nel Mezzogiorno. Negli ultimi anni poi esso si era
risolto soprattutto in investimenti in grandi opere pubbliche, in
incentivi a pioggia alle imprese, senza che questo fosse
inquadrato in progetti più generali di sviluppo, o che
emergessero vincoli e impegni reali per la crescita
dell'occupazione.
Ma il superamento dell'intervento straordinario, che è stata una
scelta giusta, non ha portato a decidere su interventi ordinari
adeguati, efficaci, trasparenti - come imposto dalle stesse
direttive comunitarie anche per l'utilizzo dei fondi comunitari -
se non in modo lentissimo e in termini estremamente limitati.
La situazione è stata ulteriormente aggravata dalle politiche di
taglio della spesa pubblica che si perseguono da alcuni anni al
fine del necessario risanamento del deficit del bilancio dello
stato, e che hanno fortemente pesato soprattutto sugli
investimenti, con conseguenze più gravi nel Mezzogiorno,
nonostante che gli stessi indirizzi della Comunità suggerivano di
evitare i tagli nelle zone arretrate.
Il Mezzogiorno, sia in termini di crescita del reddito che
dell'occupazione, ha cosè potuto usufruire molto meno del resto
del paese della stessa forte ripresa della produzione, trainata
negli anni scorsi dalle esportazioni, la quale, se non ha certo
risolto i problemi della occupazione in tutto il resto del paese,
ha creato tensioni sul mercato del lavoro in alcune regioni del
centro e nord-est, mentre ben poco è cambiato nella condizione
del Mezzogiorno.
E a partire da questa situazione, da una condizione sempre più
intollerabile, di parti consistenti del territorio meridionale,
nel quale centinaia di migliaia di giovani rischiano di perdere
anche la speranza di trovare un lavoro dignitoso, che si
rischiano di aprire fenomeni di degrado sociale e civile molto
gravi.
Da un lato la criminalità organizzata, dopo gli importanti
successi ottenuti nella repressione da parte della magistratura e
delle forze dell'ordine, la quale rischia una nuova crescita
anche di credibilità, sia per il clima politico diverso, e la
caduta della tensione e della mobilitazione civile e
dell'opinione pubblica che ha registrato negli ultimi anni, dopo
le elezioni del '94, sia perchè si presenta come un'alternativa
di vita possibile di fronte al vuoto di speranze e di lavoro per
una parte della popolazione.
D'altro lato un'espansione del lavoro precario, del lavoro nero e
illegale, visti come uniche alternative possibili all'esclusione
sociale da strati consistenti di giovani e meno giovani.
E in questo clima che si inseriscono strategie diverse da parte
del padronato e delle sue organizzazioni.
In primo luogo stupisce il gruppo dirigente uscente della
Confindustria che ha aperto un'offensiva senza precedenti con lo
scopo di far pesare sul salario reale e contrattuale dei
lavoratori meridionali nuovi assunti, tutto il peso della fine
dell'intervento straordinario e dei differenziali esistenti in
termini di condizioni generali nel territorio.
Una parte di interlocutori imprenditoriali, al contrario,
consapevole della debolezza e della miopia di una strategia che
tenda a mantenere le imprese in una condizione di sottosviluppo,
di bassa produttività, di confronto protetto col mercato, hanno
accettato una linea, difficile anche per il sindacato, di
fuoriuscita graduale ma contrattata dal lavoro nero, illegale e
sottopagato, di una parte delle imprese del Mezzogiorno, al fine
di farle rientrare nella normalità di regole sindacali, di
mercato, di efficienza.
Infine una parte degli industriali e delle associazioni del nord-
est del paese, a fronte del boom produttivo hanno proposto una
strategia di decentramento di produzioni e di imprese verso il
Mezzogiorno, accompagnate da flussi di immigrazione temporanea,
soprattutto qualificata, nelle zone di maggior concentrazione
delle proprie imprese, concordando interventi adeguati anche con
le Regioni, gli Enti Locali interessati, oltre che con lo stesso
governo.
Queste diverse proposte dimostrano tutte una diffusa presa di
coscienza, anche da parte del mondo imprenditoriale, della
assoluta necessità di un proprio impegno diretto, di carattere
nuovo, nei confronti del Mezzogiorno.
Ma la Cgil ribadisce che il costo del lavoro e i salari nel Sud
sono sempre stati più bassi che nel resto del paese, e, tuttavia,
questo non ha mai significato di per se un reale incentivo a uno
sviluppo di un sistema di imprese solido e auto propulsivo, nè un
incentivo a una crescita della occupazione.
In particolare appare assolutamente strumentale la richiesta di
concordare una deroga ai contratti nazionali, per le nuove
imprese o per l'ampliamento di quelle esistenti, proposta che
tende in realtà a destrutturare in tutto il paese il sistema
esistente di relazioni sindacali, che ha nei contratti nazionali
di categoria uno dei suoi pilastri fondamentali.
Pur tuttavia la Cgil e i sindacati confederali non si sono mai
sottratti, di fronte a casi concreti e a proposte specifiche di
nuovi investimenti per nuova occupazione, a verificare le
possibilità di concordare itinerari che favorissero nuove
flessibilità del lavoro e dello stesso costo del lavoro.
Ma ben altri sono i problemi da affrontare e le questioni da
risolvere perchè si creino condizioni favorevoli allo sviluppo
delle imprese e dell'occupazione nel Mezzogiorno: occorre dotarlo
di moderne infrastrutture di base per sistemi di comunicazione di
merci, persone messaggi; di un sistema di formazione, scolastica
e professionale, moderno e diffuso; di un'amministrazione
pubblica efficiente e trasparente, capaci di diventare punti di
riferimento e strumenti efficaci per la programmazione del
territorio, per la crescita civile e il miglioramento della
qualità della vita delle popolazioni; di una rete di banche e di
strumenti di intermediazione finanziaria sani e moderni, capaci
di indirizzare e favorire lo sviluppo di imprese; di nuclei di
ricerca scientifica e tecnologica capaci di radicarsi nelle
specificità del territorio, guardando al mondo come livello
culturale, di comunicazione, di aggiornamento, di competenze;
ecc. Tutte questioni centrali per lo sviluppo moderno
dell'insieme del paese.
Ma è proprio a partire da queste considerazioni che la Cgil
ritiene che il governo sia interlocutore necessario di un'intesa
che affronti in termini efficaci e nuovi la questione
meridionale, mentre non è sufficiente una interlocuzione tra le
parti sociali.
D'altra parte la Cgil ritiene che il punto di partenza preciso
sono gli impegni contenuti nell'accordo del 23 luglio 1993,
tuttora in larga parte inattuati salvo quelli che comportavano
una precisa responsabilità delle organizzazioni sindacali, per
una moderazione salariale, al fine di favorire una concreta lotta
all'inflazione e un'efficace opera di risanamento dei conti
pubblici.
Lo sviluppo del Mezzogiorno d'Italia, il suo risanamento al fine
di renderlo protagonista del proprio futuro è, quindi, una
partita decisiva per l'insieme del paese, ed è un terreno di
verifica per lo stesso concreto progetto di Unione europea che si
vuole costruire.
Intorno a questo tema si definisce da un lato il rapporto tra
regioni avanzate e regioni arretrate nell'Europa di domani;
dall'altro l'impegno concreto dell'Ue per una strategia di
sviluppo e di cooperazione con i paesi terzi del Mediterraneo del
quale il Mezzogiorno d'Italia, per ragioni storico-culturali e
geopolitiche attuali, può diventare un interlocutore attivo
importante.
I prossimi anni dovranno vedere, infatti un riequilibrio tra gli
impegni politici, finanziari, di investimento, di cooperazione da
parte dell'Ue nei confronti dei paesi ex-comunisti dell'Europa
centro-orientale con gli impegni da assumere nei confronti dei
paesi terzi mediterranei, cosè come si è cominciato a definire
nella Conferenza di Barcellona.
Una parte delle prospettive di sviluppo del Mezzogiorno dipendono
anche dalle scelte strategiche che si faranno in questa
direzione.
5. Trasformare la ricchezza improduttiva in investimenti
Non vi può essere risanamento del bilancio pubblico senza una
politica di sviluppo e senza che le politiche di contenimento
della spesa e di equità fiscale siano esplicitamente finalizzate
a questo obiettivo. Riduzione dell'inflazione, svalutazione e
riduzione dei tassi di interesse non possono essere elementi
sufficienti a rilanciare crescita e occupazione. Il proseguimento
dell'azione di risanamento del bilancio deve assumere
esplicitamente la ricostruzione produttiva e sociale del paese
come elemento inscindibile dalle politiche di stabilizzazione
finanziaria.
La creazione di nuove opportunità di lavoro esige che si affronti
esplicitamente la specificità della crisi italiana: un risparmio
e una ricchezza consistenti e immobilizzati nel debito pubblico;
l'enorme ritardo tecnologico, in infrastrutture produttive e in
infrastrutture sociali; la necessità di promuovere innovazione,
ricerca e formazione. I vincoli interni ed internazionali non
consentono più un'espansione generalizzata della domanda mediante
l'incremento dei consumi. Per questo diventa indispensabile
predisporre un progetto che si fondi su una rilevante espansione
del capitale materiale e immateriale del paese mediante un
processo di attivazione di investimenti pubblici e privati. Le
risorse sono reperibili senza ricorrere all'aumento della
pressione fiscale, bensè incentivando la trasformazione
dell'immobilizzazione finanziaria e improduttiva del risparmio in
investimenti. Strumenti finanziari, fiscali e di regolazione
pubblica devono convergere al fine di operare un grande
riorientamento delle risorse.
Ancora, ai fini di una razionalizzazione della spesa pubblica,
andrebbe finalmente adottata una politica diretta alla
eliminazione delle strutture duplicate e alla proliferazione dei
centri di spesa non essenziali, accompagnata da una
standardizzazione della domanda pubblica, utile per diminuire i
costi di acquisizione dei servizi e della strumentazione da parte
della pubblica amministrazione, e per utilizzare la domanda
pubblica come strumento di sollecitazione della qualificazione
tecnologica del sistema imprenditoriale italiano.
6. La riduzione del debito pubblico
Occorre affrancare la nostra economia da quello che è diventato
uno dei più grandi limiti alla crescita: un peso degli interessi
sul debito pubblico che condiziona tutte le politiche economiche,
sociali e di bilancio. La riduzione degli interessi e del debito
diventa quindi questione centrale. Va rifiutata ogni ipotesi di
ripudio o di consolidamento, in quanto minerebbe ogni credibilità
dell'azione pubblica.
Bisogna favorire, anche per via fiscale, la trasformazione del
debito pubblico in risparmio che alimenti investimenti produttivi
o in partecipazione al capitale di rischio. Diversificare
l'imposizione fiscale; allungare le scadenze; determinare
differenziali di rendimento adeguati; rilanciare un prestito di
solidarietà nazionale che, in luogo di generici titoli pubblici a
copertura del debito, offra titoli con rendimenti certi, di lungo
periodo, agevolati fiscalmente e destinati a finanziare, sia a
livello centrale che periferico, un Fondo per lo sviluppo e
l'occupazione; definire un processo di conversione volontaria del
debito in partecipazione al patrimonio pubblico da rendere
produttivo, decentrandone la gestione, valorizzandone l'utilizzo,
o alienandolo, a partire dal patrimonio residenziale delle
pubbliche amministrazioni: possono essere tutti strumenti
decisivi nell'accelerare il processo di risanamento del debito
pubblico.
7. Un fisco equo
Essenziale, per una profonda trasformazione delle Stato sociale,
è il riordinamento del sistema fiscale e contributivo che, già di
per sè, costituisce un mezzo per raggiungere una maggiore equità
sociale. Ognuno dei tre "segmenti di vita" - di cui si è detto -
non può più essere ormai confinato in periodi distinti; ciò
comporta anche la rimodulazione dei trattamenti fiscali coerenti
con un tale impianto.
Occorre in primo luogo una riforma che rilegittimi il prelievo
fiscale in quanto lo si rende più equo, più decentrato e più
connesso alla qualità ai servizi pubblici. Il processo di
costruzione di un federalismo solidale e cooperativo si deve
saldare alla esigenza di tassare di più la ricchezza e meno il
lavoro e la produzione, spostando il carico sulla ricchezza e sui
patrimoni inutilizzati e sull'evasione. La tassazione delle
rendite finanziarie e dei patrimoni finanziari va quindi
modificata, allargando in tal modo la base imponibile a favore di
una riduzione delle aliquote e delle imposte sul lavoro e sulla
produzione.
Criteri essenziali per la riforma fiscale sono: il rafforzamento
del criterio della progressività sostanziale; l'ampliamento e
l'unificazione della base imponibile; la lotta all'evasione e il
decentramento fiscale; l'attuazione della riforma
dell'amministrazione centrale e periferica.
Si può pensare a una semplificazione del sistema delle imposte,
con un'unica dichiarazione per imposte e contributi, cancellando
quelle gravanti sugli stessi cespiti, e eliminando il coacervo di
imposte locali. Il gettito di queste ultime può essere coperto in
parte dall'Irva e in parte dall'introduzione di una tassa
ecologica e da una tassa sul consumo dell'energia - sempre a
livello comunale - utili anche ai fini della finalizzazione di
risorse al recupero ambientale e alla conversione industriale.
Va quindi ridotto il prelievo sul reddito da lavoro definendo un
sistema di aliquote fiscali e contributive più basse, ma
eliminando tutte le forme di restringimento e di elusione della
base imponibile, legali e illegali. Per i contributi, a fronte di
prestazioni generali come la sanità, va istituita un'imposta
regionale sul valore aggiunto d'impresa che sostituisca i
contributi sanitari sulle imprese, sui lavoratori e pensionati e
la tassa sulla salute. Questo consente, fra l'altro, di creare un
rapporto trasparente fra il momento della spesa, che è regionale,
e il momento del prelievo.
La Cgil sostiene la modifica complessiva della tassazione sulla
ricchezza e sul patrimonio, per eliminare il privilegio
insostenibile di cui gode oggi la ricchezza finanziaria rispetto
ai patrimoni costituiti da immobili anche di prima abitazione, e
rispetto agli stessi patrimoni produttivi delle imprese. Ciò
senza introdurre altre forme di tassazione specifica, ma
riunificando quelle esistenti in un'unica imposta patrimoniale a
bassa aliquota che gravi su tutta la ricchezza personale,
comprese tutte le attività finanziarie, definendo una fascia di
valore patrimoniale complessivo esente da qualsiasi imposta. In
tal modo si alleggerirebbe il prelievo sulla casa di abitazione e
sul patrimonio produttivo delle imprese, e si incentiverebbe il
piccolo risparmio.
Va attuata una drastica revisione delle modalità di interventi
sulla famiglia, rifiutando interventi generici - come le attuali
detrazioni - o regressivi e iniqui come il quoziente familiare,
ma riformando l'assegno per nucleo familiare, trasformandolo in
un assegno di sostegno ai redditi e al lavoro di cura,
correlandolo al reddito e alla composizione della famiglia.
Andrebbe rivisto anche il sistema delle defiscalizzazioni nel
senso di una sua semplificazione e della sua riconduzione ad
alcune politiche chiare e finalizzate, come ad esempio la
defiscalizzazione completa delle attività del terzo settore,
utile per stimolare la crescita di un mercato sociale, e degli
investimenti nel campo della ricerca, dello sviluppo tecnologico
e della formazione da parte delle imprese. Rivedendo anche il
sistema delle aliquote fiscali in senso più favorevole,
occorrerebbe poi introdurre una legislazione sull'evasione
fiscale molto più rigorosa e penetrante, attrezzando anche
l'amministrazione finanziaria centrale e le autonomie locali in
direzione di una gestione efficiente del sistema di prelievo e
rendendo definitivamente operativi i controlli incrociati.
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