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3. IL SISTEMA PRODUTTIVO
E LO SVILUPPO

1. Si è esaurita quasi del tutto la spinta produttiva venuta dalla politica di svalutazione della nostra moneta, iniziata nel 1992. Se ciò ha dato competitività al nostro paese di fronte alla globalizzazione dell’economia agendo sui vantaggi dell’esportazione, ha, d’altro lato, lasciato irrisolti i problemi del basso profilo tecnologico e - di conseguenza - degli investimenti. Occorre ricordare che il definitivo varo dell’Euro impedirà nel futuro il ricorso a politiche di svalutazione come sanatorie di ritardi nella competitività del paese. Si dovrà passare, necessariamente, all’investimento nei fattori fondamentali del sistema produttivo, quale l’efficienza dei servizi (compresi quelli finanziari), le infrastrutture, la qualità dell’organizzazione del lavoro, la formazione, la ricerca e l'impiego di capitali.
Attraverso il sistema concertativo vanno affrontati gli impegni che l'unità monetaria imporrà al Paese, in materia di incremento della produttività nei settori dei servizi alla produzione: credito, trasporti, energia, telecomunicazioni, servizi pubblici. Le ristrutturazioni e le privatizzazioni, che in linea di massima riconosciamo ineludibili, non potranno realizzarsi in questi comparti che in un contesto di negoziato e di consenso tra le parti sociali.

2. La politica industriale, in ogni caso, perde i tradizionali connotati dirigistici e protezionistici del passato. L'intero sistema imprenditoriale deve svilupparsi in tutti i suoi settori e cogliere le opportunità che esistono non solo nell'industria, ma anche nel terziario, nell'agricoltura, nella produzione di servizi, e nel grande settore della protezione e del lavoro per l'ambiente ancora poco esplorato in Italia.

3. Il posizionamento produttivo delle imprese italiane, che generalmente sono situate in settori a bassa tecnologia, e operano in contesti che scoraggiano l’immissione di innovazioni tecnologiche, diviene il problema centrale da affrontare. Le scelte che verranno compiute sono fondamentali per non perdere l’occasione per correggere questi problemi del nostro sistema produttivo. La stessa scelta di accelerare la privatizzazione delle aziende dell’IRI non può significare la frantumazione del patrimonio industriale pubblico, né basarsi su logiche di semplice contabilità: dovrà essere, invece, un’occasione per puntare a salvaguardare i già scarsi poli di eccellenza industriale e tecnologica, integrando le nostre produzioni e il nostro mercato mediante alleanze strategiche.

4. Lo stesso criterio dell’attenta valutazione degli interessi di salvaguardia del patrimonio industriale nazionale, va utilizzato per quanto riguarda le grandi reti. La storia della Uil testimonia che la nostra condivisione del sistema di mercato con le sue regole non è di oggi; e che mai posizioni di acritico ‘statalismo’ sono state nostre. E però oggi affermiamo con forza contrarietà ad ogni posizione di 'privatizzazione selvaggia' delle nostre reti elettriche, di telecomunicazioni, di logistica, di approvvigionamento di materie prime.

5. Nel futuro lo sviluppo passerà sempre di più per le piccole e medie imprese. Questo vale soprattutto per l’occupazione, meno per la produzione, dove lo spazio della grande industria rimane rilevante. Nel nostro paese questo è ancor più vero, se pensiamo che la PMI rappresenta una parte molto consistente della ricchezza produttiva. E rappresenta, occorre ricordarlo, quella diffusa capacità imprenditoriale che ci contraddistingue. Anche in questo segmento il problema è quello del ‘valore aggiunto tecnologico’. Occorre perciò incrementare questo valore promuovendo la creazione di piccole imprese innovative e di trasformare, innalzando il livello tecnologico, le imprese tradizionali.

6. Le imprese del settore terziario ed in particolare quelle del terziario avanzato, che possono riequilibrare il deficit della nostra bilancia tecnologica, non hanno ancora il dovuto riconoscimento nella scena produttiva nazionale. Attività produttive di fondamentale importanza come quelle del turismo, o le aziende che crescono e operano nel campo dell'informatica, o le nuove dimensioni multinazionali che si stanno estendendo nel campo della distribuzione che produrranno cambiamenti radicali nelle tradizioni e nella cultura dei cittadini, sono considerate attività complementari rispetto al ruolo primario delle attività industriali.
E' interesse del mondo del lavoro puntare ad un riequilibrio nelle attenzioni che ricevono e nel contributo che forniscono i comparti produttivi non solo in termini di produzione di ricchezza ma soprattutto per l'impatto sociale che hanno in termini occupazionali.

7. Questa nostra realtà, di piccole e medie imprese di produzione e di servizi, unica al mondo per ampiezza, capacità produttiva e innovazione, dinamicità sui mercati, ha delle punte di eccellenza e nicchie produttive con aziende leader nel mondo. Nel suo complesso però risente dell'assenza di una politica rivolta al sostegno di questo comparto vitale della nostra economia. Tra le carenze più vistose c'è la politica della ricerca completamente assorbita dalla grande industria o dai progetti nazionali ed internazionali di interesse pubblico.

8. Svilupparsi per questo segmento significa in prospettiva non competere solo sui costi, ma puntare decisamente ad una competizione tecnologica. Dalla ricerca, anche in virtù di un più stretto collegamento con i poli universitari e dell'apertura di sportelli per la diffusione ed i trasferimenti tecnologici, alla valorizzazione delle competenze e alla flessibilità delle prestazioni. I distretti industriali, così come definiti dalla L.317, paiono costituire la dimensione ed il contesto ideale per ottimizzazioni, anche sperimentali, di questi fattori.

9. Si impone una riforma delle leggi che determinano il trasferimento tecnologico, riducendo in primo luogo i tempi di attesa per l’ammissione alle domande, e dando certezza agli investimenti di innovazione delle imprese, anche ipotizzando norme che prevedano meccanismi di automatismo.

10. Lo sviluppo dei sistemi produttivi in tutti i settori richiede, come essenziale prerequisito, l’infrastrutturazione del territorio. Questo è vero al Nord, ma è addirittura vitale per il Sud. Perciò è necessario un più forte impegno progettuale e di spesa per: opere pubbliche; grandi infrastrutture (ad es.: alta velocità; intera variante di valico; la Salerno-Reggio Calabria; il ponte sullo stretto di Messina; il potenziamento del porto di Gioia Tauro); la riattivazione dei cantieri ancora bloccati; l’avvio dei contratti d’area e dei patti territoriali. Alcune di queste grandi opere (es.: ponte sullo stretto) possono essere realizzate mediante concessione a soggetti privati (progettazione, costruzione, gestione a termine) senza oneri o con costi marginali per la collettività. Una particolare attenzione deve essere rivolta - anche per i suoi effetti occupazionali - all'attuazione di piani nazionali di recupero e valorizzazione dell'ambiente. Tra i grandi interventi nel campo delle opere pubbliche un ruolo speciale deve essere riconosciuto al piano nazionale di razionalizzazione e recupero delle risorse idriche. Per evidenti ragioni connesse alla qualità e organizzazione della vita civile, e per la grande importanza che riveste per l'agricoltura e lo sviluppo produttivo, l'intervento pubblico per le risorse idriche ha indubitabilmente carattere di necessità, priorità e urgenza.

11. Quando si affronta questo ambito di problemi non possiamo non ricordare che in Italia registriamo una scarsissima capacità di spendere le risorse comunitarie perché non siamo in condizioni di progettare. Ragioni tecniche e burocratiche sono all’origine di questo problema. Ma anche l’incapacità progettuale delle Regioni ha il suo peso. Occorre perciò puntare ad una riforma della "CABINA DI REGIA" e soprattutto delle competenze politiche, che debbono prevedere un centro di governo unico di tutto il sistema infrastrutturale, con poteri sostitutivi in caso di inadempienze. Si può immaginare allora di utilizzare il patrimonio umano, tecnico e scientifico dell’IRI per sostenere le necessità progettuali delle Regioni.

12. Questo sforzo deve essere diffuso su tutto il territorio. Nel breve periodo le aree interessate ai patti territoriali e ai contratti di area devono avere una effettiva priorità. Le aree così individuate, tra l’altro, possono essere la risposta al rifiuto da parte dell’imprenditoria medio-piccola del Nord a scendere nel Sud, rifiuto legato appunto alla scarsità dei servizi e al pericolo della criminalità, difficile da affrontare singolarmente.

13. Si tratta, dunque, di impostare politiche territoriali dove sviluppo produttivo e umano possano non solo convivere, ma crescere insieme. Bisogna uscire dal rischio di importare modelli di pseudosviluppo che puntano solo alla riduzione dei costi e alla competizione di basso profilo, a danno del bene sociale e umano, della qualità della vita. In questo senso, la politica ambientale può rimanere uno dei settori strategici di investimento, accanto alla tecnologia e al sapere.



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