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1. IL CONTESTO INTERNAZIONALE

1. Il processo di mondializzazione dell'economia condiziona in larga parte il futuro del nostro modello di sviluppo. In questo quadro di riferimento, si va delineando una concorrenza tra grandi aree economiche (Americhe, Pacifico, Europa), che produrrà sempre di più una interdipendenza globale delle economie. Si pone in maniera sempre più urgente la necessità di affiancare allo sviluppo economico lo sviluppo umano, dove il lavoro divenga un valore di riferimento fondamentale e non ridotto ad un problema di semplice costo. Il dumping sociale e le politiche localizzative dei grandi gruppi internazionali (che detengono già il 50% del commercio mondiale) pongono seri problemi di solidarietà internazionale e di sviluppo di una dimensione sindacale transnazionale.

 2. Si tratta di stabilire regole di compatibilità sociale nel processo di mondializzazione dell’economia, a partire dalla rigida applicazione delle norme OIL da parte dei grandi gruppi che operano nei paesi in via di sviluppo, per arrivare all’introduzione di un ‘marchio sociale’ che accompagni l’introduzione dei prodotti industriali nei mercati dell’occidente.

 3. Nello stesso tempo, in campo nazionale, devono essere messe insieme strategie e strumenti che consentano di seguire le delocalizzazioni delle imprese italiane puntando a fornire strumenti di cultura sindacale - formazione e assistenza - ai paesi del Bacino Mediterraneo, dei Balcani e del vicino Est europeo. Una tale azione potrebbe consentire una divisione del lavoro internazionale discussa in termini nuovi e con un valore di solidarietà internazionale che dovrà essere il collante delle relazioni tra il nostro paese e i paesi dove le nostre imprese investono o trasferiscono processi produttivi.

 4. Non è più sufficiente, per il nostro sindacalismo, la difesa esclusiva dell’interesse sociale ristretto all’Europa o all’Italia. La solidarietà internazionale deve trasformarsi da un discorso di schieramento del passato (CISL-CMT-FSM) in una azione concreta di elaborazione di politiche comuni di area, in una visione mondiale. E’ necessaria una rivendicazione da parte della Confederazione Internazionale dei Sindacati di un ruolo partecipativo nelle sedi decisionali internazionali (G7 - Banca Mondiale - OMC - Fondo monetario Internazionale).

 5. La qualità dell'azione sindacale deve essere valutata anche dalla sua capacità di esprimere e trasferire valori e non solo capacità negoziali sul controllo della produzione.
La globalizzazione dei mercati consente, anche se con risultati modesti, di svolgere una azione di controllo sui sistemi produttivi dotati di una struttura fisica ben visibile e di una sede decisionale individuata. Le clausole sociali che il sindacato intende introdurre nei trattati internazionali, sono una condizione necessaria ma non sufficiente.
Si conoscono a sufficienza tecniche, forme di mobilità internazionale, localizzazione di strutture produttive e le conseguenti politiche salariali e fiscali.
Disponiamo cioè di elementi sufficienti di conoscenza sulla creazione di ricchezza in alcuni settori: conosciamo però pochissimo della ricchezza prodotta dal sapere, dalla bilancia tecnologica di ciascun paese, dai trasferimenti di ricchezza sui mercati finanziari.
Sappiamo ancor meno e non esercitiamo alcun influenza sulla distribuzione della ricchezza che sta creando fenomeni diffusi di povertà ed iniquità sociale.
Questo avviene proprio nei Paesi che traggono maggiore ricchezza dai beni immateriali, determinando situazioni di precariato sociale proprio per i più giovani.

 6. Mentre il sindacato nelle sedi internazionali è abbastanza convinto delle sue capacità di influenzare le scelte economiche per riequilibrare i rapporti tra Paesi ricchi e Paesi poveri, lo stesso sindacato si sente disorientato di fronte ai problemi ed agli squilibri che si determinano tra creazione di ricchezza e la sua distribuzione anche all'interno dei singoli Stati.
Su questo punto specifico, con tutti i limiti ed i tempi lunghi che si richiedono, la UIL si impegnerà affinché i problemi esistenti vengano assunti e fatti propri dagli organismi sindacali internazionali.

 7. Il sindacato europeo soffre lo stesso male delle istituzioni politiche comunitarie, la difficoltà di reale integrazione e di superamento delle logiche nazionali. Va recuperato lo spirito del Congresso di Lussemburgo del 1991, per rilanciare e rafforzare la Confederazione Europea dei Sindacati - CES. Va costruita una piattaforma comune, partendo dall’allargamento della base democratica dell’Unione Europea, spingendo per un rafforzamento del ruolo delle istituzioni comunitarie - arrivando ad una effettiva integrazione politica.
Un progetto sindacale europeo dovrebbe poi comprendere - e proporre - una politica comune sul welfare-state, sul fisco, sulle regole del mercato del lavoro, sulla negoziazione salariale, sugli orari, sull’ambiente, sulla immigrazione.

 8. Il problema delle migrazioni sono solo la punta dell’iceberg del mancato sviluppo sociale, economico e umano dei paesi più poveri, caratterizzati, molto spesso, da regimi non democratici che violano i diritti umani. E’ interesse dei paesi avanzati, quindi, promuovere, con maggior decisione, lo sviluppo umano ed economico nei paesi economicamente arretrati e riflettere sulla opportunità di intervenire la dove i diritti umani sono violati. In questo ambito un rinnovato impegno sindacale deve rivendicare una forte accelerazione della politica di cooperazione allo Sviluppo.

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